Appartenente alla famiglia dei suini il maiale può
essere considerato un parente prossimo del cinghiale. Animale onnivoro è capace
di adattarsi a qualsiasi tipo di cibo, anche scadente; mangia erba,verdura,
farinacei, carne e scarti di cucina.
Nei secoli passati e fino a non molto tempo fa il
maiale è stato utilissimo nell’economia famigliare: dalla sua macellazione si ottenevano
salsicce, salami, cotechini, pancetta e altri insaccati, prodotti utilizzabili
tutto l’anno. Inoltre dal lardo si otteneva una parte da conservare e una parte
da trasformare in strutto tramite cottura. Anche i residui della cottura,
ciccioli, venivano mangiati, mentre lo strutto veniva usato in cucina come
condimento. Dal maiale si ricava anche la sugna, usata per ungere.
Fino agli anni 60 la stragrande maggioranza delle
famiglie dei nostri paesi allevava uno o due maiali. Quando gli animali venivano
allevati in copia si diceva: “èn purscel paga l’otru” un maiale paga l’altro,
perché quello venduto copriva i costi di quello macellato in famiglia. Di
solito le bestie si comperavano alle fiere di paese, perché far filare un a
scrofa comportava dei rischi e richiedeva spazio. A volte i paesi erano
raggiunti dal carro del “ciunè”, mercante di maiali che da noi arrivava per lo
più da Grosio e da Corteno.
Fino agli anni 40 un gran numero di animali aveva il
pelo scuro, “ purscel negru”; successivamente si sono imposti i suini con la
pelle chiara o rosata. Nell’immaginario popolare il maiale occupa un posto del
tutto particolare: da un lato lo si apprezza per le sue carni gustose, dall’altro
lo si dileggia sistemeticamente come se fosse l’incarnazione dei vizi peggiori.
Nel nostro dialetto si dice ad esempio “ mangià cume’n purscèl”, “ gras cume n’
purscèl”, “brudech cume’n pirscèl”. Secondo diversi etnologi e altri studiosi
questa concezione dell’animale avrebbe origini molto lontane, proprio dal fatto
che l’animale era in origine nero e tutti gli animali di questo colore erano
considerati un incarnazione del demonio e potevano essere de lui posseduti. Una
prova dell’importanza dell’animale è che nesso compare nell’iconografia
religiosa dove è rappresentato ai piedi di Sant Antonio Abate ( sant’ Antoni
del purscèl) protettore degli animali. Spesso il suo santino si trova affisso
nelle stalle. In realtà tutti i pregiudizi nei confronti del maiale, trovano
pochi riscontri nelle vere abitudini dell’animale.
Certo la bestia ha la brutta abitudine di rovistare
nella fanghiglia del suo recinto, magari nei suoi escrementi; nonostante questo
il maiale è intelligente al pari di tanti altri animali domestici. Sa molto
bene quello che vuole, è testardo, dotato di una notevole forza nel grugno,
tozzo e sgraziato, capace di opporsi tenacemente alla volontà del padrone. La
scrofa in calore poi è capace di stare delle ore senza cibo e di mettere a
soqquadro il suo recinto. La vita di un animale dura solo un anno, eccezion fatta
per le scrofe da riproduzione che vivono due o tre anni. I maialini maschi
vengono castrati in tenera età allo scopo di rendere le loro carni più gustose
e far si che siano più docili. Anche se può superare i duecento chili di peso
il maiale non è quasi mai pericoloso per l’uomo; esso se la prende facilmente
con i polli che entrano nel suo recinto che vengono azzannati. I nostri
antenati prediligevano suini ricchi di grasso e quindi grandi produttori di
strutto; per le esigenze di oggi un simile animale sarebbe una maledizione,
perché oggi l’uso alimentare del grasso di maiale è ormai scomparso. Negli
allevamenti, con la selezione, si è riusciti ad avere animali di grande resa,
soprattutto per la carne. Salsicce, salami e altri insaccati continuano ad essere
molto apprezzati da tutti noi, anche se il maiale, ahimè, è sempre meno
conosciuto e continua ad essere dileggiato.
La macellazione ( fa sü el ciun)
In quasi tutta la Lombardia il macellaio dei maiali in
dialetto si chiama “ bechee”. Da noi si dice “macelar” e in italiano si chiama
norcino ( deriva da Norcia, una citadina umbra ricca di allevamenti di suini).
In passato in tutti i nostri paesi si trovavano almeno
due o tre “macelar”.
Ogni macellaio aveva una propria clientela, così che
tutti lavoravano a pieno ritmo, quotidianamente tra dicembre e la fine di
febbraio. Egli percepiva a operazione avvenuta un compenso che fino ai primi
anni del secolo era solitamente in natura: una certa quantità di salsicce o di
insaccati a seconda degli accordi. In seguito negli anni “20 e “30 si è
cominciato a pagarlo in denaro: agli inizi non esistevano però tariffe fisse e
i guadagni per i macellai erano pur sempre abbastanza modesti se si tiene conto
della lunghezza e della faticosità del loro compito.
Comunque è necessario ricordare che le operazioni di
macellazione sottintendono la partecipazione di tutta la famiglia, dai più
vecchi ai più piccoli, con responsabilità e compiti differenziati. Quasi sempre
si cominciava molto presto al mattino: l’animale veniva legato alle zampe
posteriori, trattenuto dagli uomini, appeso a testa in giù; una volta sgozzato,
si procedeva molto celermente al suo dissanguamento. Appena ripulito delle
setole con acqua bollente, lo si svuotava di tutte le interiora. Dopo lo squartamento
si proseguiva con la cernita della carne: si separavano la cotenna, la sugna e
la carne, poi quest’ultima veniva sminuzzata. Quindi si selezionava la
migliore, destinata alla produzione dei salami, da quella di qualità meno buona
che unita a parte di grasso a tocchetti si utilizzava per fare le salsicce.
Il sangue lasciato a coagulare era
invece destinato alla preparazione dei sanguinacci. La cotenna era usata per la
preparazione dei cudeghin (solo cotenna) e dei cudegot (anche carne).
Grossi pezzi di carne venivano messi da parte, salati
abbondantemente e lasciati riposare per otto giorni: si trattava della carne
destinata alla produzione di pancette, coppe e prosciutti.
Seguiva allora la macinazione della carne e della
cotenna. La prima si macinava almeno due volte, la cotenna almeno tre. A
conclusione dell’operazione il macinato veniva impastato aggiungendo delle
spezie: noce moscata, cannella, pepe, si aggiungeva aglio e vino, il tutto
filtrato attraverso una pezza. Le operazioni si ultimavano con l’insaccatura,
l’annodatura e la legatura degli insaccati. A titolo di curiosità da un maiale
di circa 150 Kg. si possono ottenere: 40 Kg. di salami e salsicce, 12 Kg. di
coppe e prosciutti, 10 Kg. di cotechini e sanguinacci, 5 Kg. di pancetta, 7/8
Kg. di costine, 30 Kg. di strutto, 20 Kg. di lardo.
Al tempo dei nostri bisnonni la macellazione
richiedeva una dura giornata di lavoro: dall’alba fino a mezzanotte; negli
untimi decenni invece i lavori sono stati abbreviati di parecchie ore.
Appena gli insaccati erano pronti, cominciava la fase
di conservazione. Salsicce e salami dovevano essere tenuti in un locale non
troppo freddo, senza luce, al buio. Si stendevano sulla paglia, si voltavano
dopo otto giorni, si portavano in cantina e si appendevano. La stessa operazione
si faceva coi cudegot. Pancette, prosciutti e coppe invece si appendevano subito
in cantina, perché già erano rimaste otto giorni in salatura. Le prime salsicce
secche si mangiavano dopo un mese, più spesso un mese e mezzo; i salami dopo
tre o quattro mesi. Pancette, prosciutti e coppe erano pronti per l’estate. Se
per molti aspetti la macellazione dei suini era molto lunga e faticosa, non si
può non ricordare che per ogni famiglia era una festa, un momento gioioso di
convivialità.
Il testamento del porco
“Come da
copia che di esso si legge nel Tanara”
Poi che sono
già ingrassato,
Me la sento
che fra poco
De’ beccai
nel crudo loco
Mi vorranno
macellato,
Onde pria del
triste evento,
Per levar
qualche imbroglio
De’ miei beni
nello Spoglio,
Far qui
intendo Testamento.
D’esser
dunque seppellito
Lascio in
primis dei Golosi
Entro il
ventre in più gustosi
Modi acconci
all’appettito.
[…] Lascio il
Grugno a chi più piace
Il Tartufo, e
il suol ferace
Gliene bramo
in tutti i lati.
[…] Ai miei
cari Ebrei poi lascio
Ai miei cari
Ebrei, da’ quai
Niuna offesa
ebbi giammai,
Di mie setole
un buon fascio.
Per lor
Scarpe usino queste,
E a cucir la
bocca a quanti
Con parole da
furfanti
Ai cristian
metton la veste.
Gli altri
peli pei pennelli
Ai pittori.
Per trastullo
La Vescica a
ogni fanciullo.
[…] A Chi
vuol mondare il grano
Per far Valli
la mia Pelle
Ben lo mondi,
che più belle
Sian le
Paste, e il Pan più sano
Di chi fà
Stucco, e Sapone
Sien mie
Cotiche a metà;
Ma in
partirle fedeltà,
Né vi sia fra
lor tenzone.
Così pure a
oncia, a oncia
La mia Songia
a’Carrozieri
Si divida, e
a’ Carratieri,
e le Canape a
chi concia.
A chi fa
Candele poi
Lascio il
Sevo per servire
Chi nel tempo
nel dormire
Veglia
intento a’Studj suoi.
[………..…]Ora
da un tale
Testamento di
un mio pari,
Di una
bestia, l’Uomo impari
Di far bene a
chi fa male.
“ El ciun che
l’è iscì brüt el da lard, salam e prusciüt”:
Il maiale che è così brutto, da lardo, salame e
prosciutto.
“El ciun l’è più facil cüral da vif che da mort”:
Il maiale è più facile curarlo da vivo che da morto.
Il cinghiale è per molti aspetti simila al maiale. Si può nortare anche dalle foto sopra.
Sono abbastanza diffusi attualmente sia in Italia che in Lombardia, Valtellina compresa.
E' pericolosa la carica che possono fare anche alle persone. I maiali quando caricano lo fanno perché sono spaventati, in ogni caso lo fanno rararmente. Alimentare un maiale non è difficile perché sono onnivori: mangiano qualsiasi cosa, se proprio non piace, la buttano fuori dal truogolo.
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